Livorno
La città, dai dati oggettivi alle parole di poeti e scrittori
Nome: Livorno
Coordinate: Lat 43°32’36″96 N; Long 10°19’1″20 E
Regione: Toscana nord occidentale, lungo la costa
Abitanti: 158.371 (dati al 1° gennaio 2018)
Fondazione: 28 marzo 1577, sotto Francesco I de’ Medici Granduca di Toscana posa della prima pietra delle mura del “Pentagono” di Bernardo Buontalenti.
Città: 19 marzo 1606, sotto Ferdinando I de’ Medici
«A mezza strada [dalla Porta a Mare al Parterre dell’Ardenza] s’incontra una specie di osteria dove un livornese puro sangue deve almeno una volta l’anno mangiare i maccheroni e il cacciucco. L’esule, condannato a trascinare una vita di dolore lontano dalla spiaggia natale, piange alla sera pensando ai suoi cari, al tetto paterno, alle mura cittadine e al cacciucco della patria!…
Togliete a Livorno le sue franchigie… la città lo porterà in pace… dite male a un Livornese del cacciucco di Iacopino, e guardatevi le spalle, siete un uomo condannato!…».
«Il libeccio mette sossopra ogni cosa sulla marina livornese. I giorni sono cupi e fastidiosi. Il cielo ha vestito il grigio mantello dell’autunno; le nuvole, condannate ad attingere col secchio delle trombe marine l’acqua amara dell’Oceano per trascinarla a gran pena qualche chilometro più lontano, lasciarla poi ricadere sotto forma di pioggia nel seno del mare donde l’hanno poco prima levata, vagano incerte e musone sull’orizzonte […]. Il mare bolle come la lava di un vulcano […]».
«Le popolane livornesi hanno un tipo di ardita bellezza che fa nascere dei dubbi penosi all’attento osservatore sulla linea discendente dall’albero genealogico paterno quando le si paragonano ai visi volgarissimi e alle linee poco statuarie degli operai della marina. Honny soit qui mal y pense!.. Del resto anche le ostriche fanno le perle!…».
Yorick Figlio di Yorick, Cronache dei bagni di mare (1868), Pisa, Tipografia Nistri, 1868
«Venerdì (19 aprile 1901) […] Alle due e mezza ho deciso all’improvviso di andare anche a Livorno e ho trovato subito un treno. […]. A Livorno sono andato subito al porto dove mi son fatto portare in giro in barca per due ore. La gita sul mare nella serata luminosa è stata una delizia. Ho percorso a piedi il molo nuovo: il mare pieno di vele, la costa e le isole (tra le quali l’Elba) di superba bellezza. Ho attinto con la mano un sorso d’acqua salata. Sulla spiaggia il barcaiolo ha trovato una quantità di molluschi simili a ostriche, che ho divorato con appetito insieme al resto di acqua salmastra: Frutta di mare. Poi sono salito sul faro. Da lì ho visto di nuovo la Corsica, L’Elba ecc., e col cannocchiale il Duomo di Pisa, molto bello così separato dal resto della città e incorniciato di alberi. Quindi, giretto attraverso l’animata e variopinta città portuale. Vivido riflesso sull’acqua di una barca dipinta di fresco cinabro. Merenda in una trattoria nei pressi della stazione. [In città c’è un caffè che si chiama Amico Fritz]. Durante il viaggio di ritorno, meraviglioso tramonto che tingeva di rosso soprattutto i canali, seguito poi da un bel cielo stellato».
Hermann Hesse, Diario di viaggio 1901, in Dall’Italia: diari, poesie, saggi, racconti, Milano, Mondadori, 1999
«Non ho bisogno di forzare la memoria per ricordare l’impressione ricevuta. Sapevo quasi con esattezza il mare che fosse; per mille quadri, disegni, illustrazioni, fotografie viste; per mille racconti uditi, ricevuti o richiesti; e per l’idea che a traverso tante cose mi ero fatta di esso; e giungendo quella mattina di primo agosto, colla carrozza carica di bagagli all’antica Porta a Mare di Livorno, e vedendomi davanti il mare qual era, quello che sapevo presso a poco e che mi ero figurato sempre, mi parve quasi di vedere una cosa già vista. Ma forse credevo che non ci fosse davvero? Che fosse solamente un sogno, una fantasia? O il sogno e la fantasia avevano superato la realtà? O fu l’apparizione semplice e solenne di quel silenzio davanti a me che mi fece tacere? […].
Per tutta la seconda metà dell’ottocento e fino alla fine del secolo, Pancaldi fu durante l’estate il luogo di tutte le delizie e di tutte le primizie mondane.
Sul vecchio stabilimento balneare, i cui tendaggi cigolavano al vento o manovrati come vele dalle braccia vellose dei bagnini, era un grande diadema luccicante. Luccicare di sciabole, di monocoli e di gemme […]».
Aldo Palazzeschi, I bagni Pancaldi, in Stampe dell’Ottocento, Milano-Rona, Fratelli Treves, 1932
«Fa caldo.
Il mare batte come un ventaglio sugli scogli e sul molo, i girasoli volgono lentamente in giro la faccia nera e gialla, seguono i bambini con l’occhio rotondo, guardano meravigliati i giochi, i cavalli che passano, i barrocci fermi davanti alle osterie, l’altalena dei velieri dai fianchi rotondi, nella vecchia darsena dove l’acqua verde riflette la ruggine dei bastioni. I velieri che s’alzano e s’abbassano in fondo alle prospettive delle strade larghe e diritte, ora sollevandosi sui tetti, ora sprofondando sotto i marciapiedi […].
I richiami di pesciaioli scivolano lungo i muri come pesci vivi, guizzano negli anditi oscuri, accendono bagliori di scaglie ai davanzali dove s’affacciano donne e ragazze. Belle le mie triglie, belli i miei cefali, belli i mie scorfani! Donne, guardate come son belli i miei scorfani! Belli anche loro. Con quelle larghe bocche spaurite, e gli occhi tondi pieni di meraviglia crudele. Guardano il viavai del porto, i fiaccherai sonnolenti a cassetta, i bambini e i cani che ruzzano intorno alla tenda del gelataio, con su dipinta la Torre di Calafuria o i Quattro Mori, o il Vesuvio fumante […]».
«Se fossi un livornese, di quelli veri che dicono “deh” e parlano a mano aperta, muovendo le dita, come per far vedere che nelle loro parole non c’è imbroglio, vorrei star di casa in qualche Scalo della Venezia. Non già nei quartieri, nelle piazze, nelle strade disegnate con la matita dolce, con l’aiuto di squadra e di compasso, dagli ordinati e generosi architetti dei Granduchi, ma in questo quartiere che i livornesi chiamano La Venezia, qui nel cuore della vecchia città, a due passi dalle Carceri, dal Monte Pio, dai Bottini dell’Olio. Che bella vita sarebbe, che vita semplice e felice!
Non però così semplice come parrebbe a prima vista. E innanzi di cominciar la mia giornata vorrei riposarmi della lunga notte, riposarmi di quella grande e dolce fatica che a Livorno è il sonno […]».
Curzio Malaparte, Maledetti toscani, Firenze, Vallecchi, 1956
«Livorno è la città d’Italia dove, dopo Roma e Ferrara, mi piacerebbe più vivere.
Lascio ogni volta il cuore sul suo enorme lungomare, pieno di ragazzi e marinai, liberi e felici. Si ha poco l’impressione di essere in Italia. Intorno, nelle fabbriche dei quartieri verso il Nord, ferve un lavoro che non ha un’aria familiare, e per questo è tanto più amica, rassicurante.
Livorno è una città di gente dura, poco sentimentale: di acutezza ebraica, di buone maniere toscane, di spensieratezza americanizzante.
I ragazzi e le giovinette stanno sempre insieme. Il problema del sesso non c’è ma solo una gran voglia di fare l’amore. Le facce intorno sono modeste, allegre, birbanti e oneste.
Pei grandi lungomari disordinati, grandiosi, c’è sempre un’aria di festa, come nel meridione: ma è una festa piena di rispetto per la festa degli altri».
Pier Paolo Pasolini, La lunga strada di sabbia, in «Successo», luglio 1959, poi pubblicato in Pier Paolo Pasolini, La lunga strada di sabbia, fotografie di Philippe Secliér, Roma, Contrasto, 2005
«Sapevo che col giorno
Sarei tornato a Livorno.
Sapevo che avrei trovato
pioggia e vento al mercato
e che (tra pesci e verdura,
e odore d’acqua e d’aria
sfatta) un bambino
di nuovo sarebbe corso,
sfuggito di mano, sul Fosso
per mettersi a singhiozzare
(bagnato dal vento di mare)»
Giorgio Caproni, Il Becolino, in Il seme del piangere, Milano, Garzanti, 1959
«Oggi a Livorno
scopro che la Fortezza Vecchia
in centro – sovrastante i canali
è dominata da una sinfonia di gatti
e mentre passeggio qui
solo in mezzo a loro
comincio a capire
un’antica verità italiana.
È che nulla qui è sacro
e che tutto ciò che vive qui
Si consuma per intero nel tempo.
E che io sono poco più che
sabbia in queste antiche mura.
Bene o male
imperatore di mediocrità
o paradiso
eterno sempre
ma solo fino al tramonto».
Dan Fante, La Fortezza (The Castle), senza data, donato ad Anna Laura Bachini nel 2007 e pubblicato in L’AltraGuida. Luoghi diVersi, collana ideata e diretta da Anna Laura Bachini, 1. Livorno, Pisa, ETS, 2010